Se la poesia diventa visiva, Aronne Angelici

Se la poesia diventa visiva, Aronne Angelici

Pittura, fotografia, poesia visiva, questi sono gli ingredienti di una interessante mostra che si tiene fino al 20 luglio a Villa Gori, un edificio restaurato in pieno centro a Stiava, a pochi chilometri da Viareggio. Ma cos'è domanderà qualcuno la poesia visiva? In parole povere la si potrebbe definire come un connubio, una fusione, insomma, di immagini e di parole. Agli occhi del visitatore (e la mostra di curiosi ma anche di esperti ne ha attirati parecchi) la forma della poesia visiva si presenta come un quadro. Ma quadro non è: non sono il colore, il segno, ad essere protagonisti della tela bensì la parola. Lettere, frasi intere di senso compiuto e non, sono al centro dell'immagine e rappresentano il filo conduttore dell'opera, la guida insomma per capirne il significato. “Un manifesto pubblicitario – spiega Arturo Lini - può essere un esempio di come le parole e l'immagine possano concorrere ad uno stesso effetto.” e ancora “Queste tele, sono una prova sulla disponibilità della parola usata in uno spazio tradizionalmente visivo”. Cartoni bruciati, fili di lana a cui si legano ami da pesca, legni, terre colorate, ogni materiale è usato come in un collage, per questo tipo di discorso poetico: tutto al servizio della parola naturalmente. “Mi sento poeta, non un pittore”, dice Lini, del quale uscirà presto una raccolta di poesie “Opera Prima”, Guido Miano editore, Milano. Aronne Angelici, Se la poesia diventa visiva, il Tirreno, Livorno, 17 luglio 1983. 
 

Questo invece è il testo di presentazione alla mostra, da me scritto e stampato sul pieghevole-invito della stessa.
La letteratura — scrive Roland Barthes — la sa lunga sugli uomini. Nella Genesi leggiamo che la creazione del mondo avviene semplicemente «pronunciandolo». La parola da forma alle cose, le racconta all'esperienza dell'uomo, e si fa suo strumento di comunicazione. In questo modo possiamo interpretare il senso di ogni « farsi artistico ». Ed è altresì in un principio di comunicazione che l'arte trova la prima ragione del proprio continuo sviluppo. Quanto cammino dai primi segni che l'uomo componeva per trasmettere ad altri uomini ciò che la sua cultura aveva ordinato! Ed è presumibile che future forme di comunicazione useranno sistemi diversi, quali i colori, le note musicali, le parole, ordinati non solo nello stesso messaggio ma anche nello stesso alfabeto.
A tutto questo già guardano diverse espressioni artistiche che più generalmente rientrano nella denominazione di « poesia visiva ». Dalle « parole in libertà » dei futuristi ai calligrammi di Apollinaire, dalle « pagine di scritture » di Accame alla « poesia tecnologica » di Pignotti, uno stesso intento ha sorretto queste esperienze: di concepire la parola non solo come segno semantico, ma anche come strumento visivo. Un manifesto pubblicitario può essere un esempio di come le parole e l'immagine possano concorrere ad uno stesso effetto. Da questa breve introduzione si può facilmente cogliere il senso di ciò che sto presentando: una prova sulla disponibilità della parola usata in uno spazio tradizionalmente visivo.

Queste tele, questi quadri, possono essere concepiti come « altre pagine »; strumenti di una struttura linguistica capace di ricostituire i propri segni in un altro ordine; dove la nostra coscienza delle cose riesca a stupirsi, a non riconoscersi quasi, al suono o all'apparizione di quelle stesse parole che le pronunciano. Ed in fondo non è proprio di ogni percorso artistico rimuovere le considerazioni su di un « certo tema », qualunque esso sia, ampliandole in virtù di una ristrutturazione, di una invenzione, puramente linguistica? Ecco allora l'invito a non voler considerare quanto presento come un fatto compiuto, un disegno ed una scritta chiusi in uno spazio. Piuttosto sono momenti, frasi, di una stessa convinzione: che sia possibile scrivere poesie fatte di parole, forme, colori.
Aruro Lini, Stiava (LU) 1983