CCCP

CCCP

All’inizio degli anni Ottanta abitavo a Firenze, vicino a Piazza S. Croce. Ero da poco entrato nei trent’anni, la gioventù se ne era andata, e con quella tanti sogni che l’avevano abitata. Il ‘68 con le sue utopie, speranze, la visione di una società che fosse solida casa per tutti gli uomini, si stava ritirando dalle piazze e dai cuori. Nella notte fiorentina ero steso sul letto, quando un canto dalla strada arrivò ai vetri delle finestre: erano dei ragazzi che cantavano una canzone già compagna della mia gioventù. Quella canzone ebbe la forza di risvegliare sopite voci: veniva a dirmi che le idee per le quali avevo lottato, insieme a un’intera generazione, non erano tramontate nella rovina delle ideologie che sembravano custodirle, ma ancora pulsavano sotto quella cenere.

Mi dicevano che la Storia è fatta di percorsi imprevedibili, a volte non comprensibili, invisibili, ma soprattutto ripetevano di continuare a dare loro riparo, custodirle nella fede che un giorno sarebbero riapparse sotto altre voci e bandiere. Così afferrata penna e un taccuino che tenevo vicino al letto scrissi pochi versi che poi sarebbero divenuti una poesia: “I ragazzi hanno urlato alla notte / le nostre parole / le stesse parole /…” poi confluita in Opera Prima (Milano, 1983) la mia prima raccolta poetica.

 

CCCP, l’opera in esposizione alla Spazio Lumen, riprende quei versi. Non vuole essere una celebrazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, né un ricordo dei suoi fallimenti o delle nostre disillusioni, quanto testimonianza di un percorso interno e soggettivo, pagina di un racconto scritto attraverso i tempi e ancora aperto, i cui capitoli – come quello dell’uguaglianza o della pace universale – sotto altri nomi e bandiere continuano e continueranno a battere nel cuore del mondo e del tempo. Almeno fino a quando ci saranno dei giovani ad alzare il loro sguardo, e il loro canto, tra quelle righe.